Ping-Pong a Berlino

16 marzo 2020 by

ImmagineDoppio alla Filarmonica di Berlino: Maurizio Pollini sfida Claudio Abbado, con i compagni di doppio Wolfram Christ e Walter Küssner. 

The unanswered questions

23 gennaio 2020 by

Uno degli aspetti più affascinanti, e forse più angoscianti, degli ultimi anni di Beethoven, è l’enorme mole di informazioni parziali di cui disponiamo. Per nessun altro compositore, e più in generale per pochissimi artisti del passato, possiamo avere istantanee di vita quotidiana paragonabili a quelle contenute nei Quaderni di conversazione, i taccuini che i visitatori di Beethoven utilizzavano per scrivere ciò che il grande compositore non poteva sentire. Dicevo, si tratta di una affascinante e penosa mole di informazioni. Affascinante perché abbiamo frammenti di personalità e di vita di un così grande uomo. Penosa perché purtroppo disponiamo unicamente di ciò che gli interlocutori dovevano scrivere – peraltro notoriamente alterato dall’assistente Anton Schindler – e non delle risposte di Beethoven. Oltre a estratti di vita quotidiana non troppo utili per ricostruire il pensiero beethoveniano – ma senz’altro utilissimi per ricostruirne abitudini e vicende – possediamo una grande quantità di domande e curiosità di cui vorremmo disperatamente conoscere le risposte. Risposte che purtroppo possiamo solo immaginare, interpolare dalle successive repliche degli interlocutori, come soluzione di un puzzle in cui i pezzi più interessanti sono perduti per sempre. Sappiamo da altre fonti che Beethoven riveriva profondamente Händel e Mozart su tutti i compositori passati, e che provava una grande ammirazione per ciò che di Bach gli era noto. Sappiamo che, già sul letto di morte, spese belle parole per Schubert, come a volergli passare quel testimone che Haydn gli aveva affidato in memoria di Mozart. Sappiamo che aveva accolto con il suo tipico disprezzo l’insuccesso della Grande Fuga, l’originale conclusione del quartetto op.130, eppure accettò la proposta di sostituirla con un finale più tradizionale, lasciandoci col dubbio di quali siano le ragioni dietro una concessione così atipica. Chissà quante ragioni reali, quali considerazioni più precise, meno romanzate dall’aneddotica, avremmo potuto leggere se quegli interlocutori avessero pensato di annotare le risposte di un così grande uomo, immaginando forse che quasi duecento anni dopo, in un mondo totalmente diverso, un’umanità ancora terribilmente immatura sarebbe stata sempre più affascinata dalla musica e dal pensiero di quell’uomo burbero e insofferente, sognatore e cantore di un’umanità migliore.

Il pubblico più attento del mondo

13 gennaio 2020 by

Sono le 17 di una fredda domenica di provincia. La società dei concerti del luogo offre un recital pianistico a dir poco complesso: in programma Schoenberg, Busoni, Vlad. Ad eseguire queste musiche un pianista di buona fama: un virtuoso dello strumento, si direbbe con termini ormai fortunatamente fuori moda. La prima parte del recital fila liscia, tra un po’ di occhiate confuse di qualche abbonato che forse scorgendo la locandina non era andato oltre il nome del pianista, scritto in caratteri cubitali forse per nascondere il nome ingombrante dei compositori in programma. Niente intervallo. Prima di Vlad, il pianista decide di prendere la parola per introdurne le musiche. Prima però è il momento di ringraziare e lodare il pubblico del luogo per la straordinaria attenzione che dedica all’esecuzione di musiche così complicate. E qui, finalmente, un imprevisto rompe la noia generale: squilla un telefono. Una beffa meravigliosa che spazza via la retorica del pubblico attento, del rispetto per la musica colta, e così via. Quel cellulare suonerà altre due volte, con imbarazzo crescente, mettendo a nudo l’ignoranza ormai sconfinata che riempie ogni luogo d’aggregazione, culturale o meno. Siamo ignoranti, indifferenti al bello, irrispettosi degli altri e del loro lavoro. È tempo di prenderne definitivamente atto, e di reagire in qualche modo.

Claudio Abbado (1933-2014)

22 gennaio 2014 by

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Alla riscoperta dell’Ottocento francese: stagione 2013-2014 del Palazzetto Bru Zane

12 luglio 2013 by
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Un concerto al Palazzetto Bru Zane, foto Michele Crosera

Non si finisce mai di sorprendersi di quante meraviglie si nascondano nel patrimonio musicale che i compositori del passato ci hanno lasciato. Fortunatamente, c’è chi dedica la propria vita a questa instancabile e mai sufficientemente lodata opera di riscoperta, spesso senza fare il rumore che sarebbe giusto fare. Così, ho scoperto il Palazzetto Bru Zane, un centro di ricerca veneziano completamente dedicato allo studio e alla promozione della musica del romanticismo francese, alla cui attività propriamente scientifica si affianca una ricchissima iniziativa di concerti e conferenze, nonché un’attività editoriale variegata (partiture, ricerca, produzioni discografiche).

L’attività concertistica (accompagnata da conferenze) giunge con l’edizione 2013-2014 alla quinta stagione. Essa prevede un gran numero di appuntamenti di rilievo, che si svolgono a Venezia, ma con ampie rassegne parallele nel resto d’Italia e d’Europa (c’è un Festival a Parigi, e ci sono coproduzioni e partenariati in Francia, Belgio, Canada…). Come potrete leggere nel programma sul sito (e nell’ottima cartella stampa), ci sono due cicli tematici principali e un ciclo di concerti indipendenti. I cicli tematici sono dedicati ad Alkan (“Il pianoforte visionario”, con interpreti di rilievo come Prosseda, Neuburger, Bellucci, a Venezia dal 28 settembre al 23 ottobre 2013) e a Félicien David (“Da Parigi al Cairo”, a Venezia dal 5 aprile al 17 maggio 2014 con appuntamenti perlopiù cameristici). Il ciclo di concerti indipendenti, sempre a Venezia dal 7 novembre 2013 al 22 marzo 2014, prevede un programma più variegato, sempre piuttosto focalizzato alla riscoperta del romanticismo francese meno noto, ma con alcune incursioni anche nel repertorio meno conosciuto dei grandi nomi tedeschi e francesi di settecento-ottocento-novecento (Mozart, Beethoven, Ravel, solo per citarne qualcuno). Come dicevo, a questi tre cicli principali si affiancano conferenze tematiche e altre produzioni concertistiche – in giro per l’Italia e per l’Europa – ed editoriali.

Per maggiori informazioni: http://www.bru-zane.com (sito ufficiale)
Cartella Stampa stagione 2013-2014

Un cappuccino con Gulda

7 luglio 2013 by
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Friedrich Gulda, in versione impegnata.

Sorseggiando un cappuccino non troppo buono (due stelle su tre, via, latte troppo caldo, e non dei migliori), leggevo una rivista di Jazz e dintorni: Musica Jazz di marzo, se non sbaglio. C’era quest’articolo molto bello su uno dei grandi pianisti del secolo andato, Friedrich Gulda. Un pazzo, fondamentalmente, forse un genio, sicuramente un talento straordinario e incredibilmente versatile, visto che dopo un po’ di anni dedicati unicamente alla classica, aveva deciso di aprirsi alle contaminazioni più disparate: dal jazz, al blues, fino all’indefinibile. Era anche ringiovanito: sembrava più vecchio nei filmati degli anni cinquanta, in bianco e nero, che in quelli degli anni ottanta. Venerava quasi divinamente Mozart, tanto da riuscire a morire proprio il 27 gennaio, ma non aveva grossi problemi a proporre al pubblico in visibilio certe sue Variazioni su Light my fire dei Doors. Poi, a un certo punto, dopo una carriera tanto incredibile quanto stravagante, ma costantemente tenutasi su livelli altissimi, era impazzito oltre la pazzia: aveva iniziato a darsi alla musica dance, alla discomusic, tanto da tirar fuori un disco – faccio fatica a scriverlo – il cui titolo è Summer Dance. Proprio così, Summer Dance. C’è qualcosa su youtube, ma io preferisco ricordarlo con altro. La spiegazione, il perché di questo senile voler prestare il suo tocco incredibile a quella musica là, l’ho letta oggi in fondo all’articolo, mentre il cappuccino si raffreddava, inesorabilmente, dimenticato lì sul bancone. Mi sembra dica tantissimo, in generale, su quanto anche i geni siano umani e possano teneramente rincoglionire come fanno le persone normali – anzi, standard, per tornare al jazz – con le badanti dell’est, arrivati a una certa età. L’articolo, di cui non ricordo l’autore, abbiate pazienza diceva più o meno così:

Gulda non è mai stato vecchio e non lo sarà mai. C’è di mezzo, piuttosto, il suo amore per una delle cubiste. Non faccio gossip a buon mercato. Il cd Summer Dance della Paradise Production di Gulda, era dedicato con tanto di firma a ‘Polou, chica meravillosa, luz y vida de mis anos tardos’. Succede.

Comunque, Gulda aveva scritto anche cose bellissime. Come questa Aria.
Che è tutto un altro ricordarlo.

Ivo Pogorelich, il trascendente

27 novembre 2012 by

Ivo Pogorelich

Domenica 25 novembre, all’Aquila, ho avuto la fortuna di assistere a un recital di Ivo Pogorelich, grande pianista croato del quale si è discusso come pochi altri, negli ultimi anni.

Questo il programma:
Chopin:
Polacca op.40 n.2
Notturno op.48 n.1
Sonata op.35
Liszt:
Sonata in si minore.

L’ingresso in sala è stata una delle cose più estranianti della mia esperienza ai concerti. Dopo quattro o cinque gradini scesi in questa grande e antipatica sala pensata per tutt’altro (auditorium della Guardia di Finanza), mi sono accorto che qualcuno stava suonando, al buio, sull’enorme palco, l’Adagio della Patetica di Beethoven, sottovoce e a un tempo molto lento. Avvicinandomi, l’ho visto. Immobile, glaciale, apparentemente in estasi, era Ivo, col suo berretto rosso. Dieci minuti così, ripetendo e variando lo stesso brano come se fosse in trance, tra l’indifferenza generale dei pasoliniani borghesi tutti unti e vestiti per l’occasione della domenica. Tutti persi a discutere di cose stupide e superficiali come la loro stessa apparenza, ignoranti e indifferenti al musicista che mezz’ora dopo avrebbero ascoltato in silenzio religioso, e alla musica, soprattutto.Poi, il concerto. Polacca trascurabilmente brutta, lenta, poco tesa. Notturno strepitoso, pur completamente diverso da quanto ci si possa attendere in una lettura più o meno canonica. Lento, molto, con tinte di volta in volta molto (troppo) accese o, al contrario, meste. Purissimo il cantabile. Una ballata, però, più che un Notturno.

Sonata della marcia funebre un po’ più deludente: primo movimento attaccato a un tempo sensibilmente più lento della norma, e poi continuato con continue variazioni di tempo, spesso molto marcate. Tocco molto bello, comunque, volume di suono che non mi sarei aspettato, non so perché. Secondo movimento meno interessante, anche qui grosso rubato, un po’ meno giustificabile (secondo me). Marcia funebre antipatica, volutamente, all’esordio, ma straordinaria la parte centrale cantabile, lirica. Finale clamoroso.E infine, la sonata di Liszt, che a me piace pochissimo, e che reputo un detestabile capolavoro. Straordinaria, secondo me, nell’interpretazione di Pogorelich. Tecnicamente molto molto solida (mi aspettavo, avendone letto in giro qualche recensione, un pianista ormai impoverito anche nella tecnica), particolarmente azzeccata nei contrasti e negli aspetti che mi sembra di cogliere se penso al pezzo in esame (cesellatura di ogni particolare e caratteristica dello strumento, dalle più limpide possibilità di cantabilità al più aspro timbro percussivo). Per me questa sonata è spesso insopportabile, non ce la faccio a star lì mezz’ora ad ascoltarla. Domenica 40 minuti sono volati in un’esperienza che ricorderò come trascendentale (non mi vengono termini più adatti). Di Filosofia non ne so poi molto, me la cavo un po’ meglio con la Matematica. In Matematica c’è un certo tipo di numeri, li chiamano trascendenti: sono numeri molto particolari, che stanno sotto la famiglia degli irrazionali, ma hanno tutta una serie di caratteristiche che li rende proprio speciali. Ecco, Pogorelich per me è un po’ così: irrazionale, ma non solo, molto di più. Se dovessi fare un paragone per spiegare come fosse davvero la sua Sonata di Liszt, penserei allo Schubert di Richter, e a quel saperti trasportare da un’altra parte, dove lentezza e profondità di congiungono e assumono un significato tutto loro, si tingono di inevitabilità.
Un po’ come se la questione non risiedesse nei tempi lenti, ma nel viaggiare un po’ più vicini alla velocità della luce.

Hans Werner Henze (1926-2012)

27 ottobre 2012 by

Il grande compositore tedesco Hans Werner Henze è morto oggi a Dresda.
La notizia ha fatto il giro di tutti i maggiori (e minori) siti d’informazione mondiali, ma non v’è traccia del triste evento sulle testate italiane – con la sempre lodevole eccezione del Corriere musicale, scusate il conflitto d’interessi. Tra le parole che ho letto, mi va di citare alcuni passaggi dal ricordo apparso sul sito dello storico editore di Henze, Schott:

Con la morte di Hans Werner Henze abbiamo perso uno dei più importanti e influenti compositori del nostro tempo. Nel corso di una lunga carriera artistica, la sua visione musicale si è dimostrata senza limiti: più di 40 lavori di scena, 10 sinfonie, concerti, lavori da camera, oratori, cicli di canzoni, e un Requiem creato da nove Concerti sacri. Ciò che è unico nella sua opera è l’unione di bellezza senza tempo e impegno contemporaneo, avanguardistico. Scelse di vivere nel paesaggio classico dei colli Albani, poco fuori Roma, e lì trovò il suo personale e armonioso equilibrio tra vita e arti, dedicandosi ai suoi molti e concreti progetti, convivendo generosamente col suo compagno Fausto Moroni per cinque decadi, e ritirandosi nel suo studio e nelle sue partiture.

Il ricordo prosegue con un’analisi della carriera artistica di Henze e dei suoi principali lavori. Ho pensato di proporvi l’ascolto di qualcuno di essi, piuttosto che tradurre l’elenco, e di aggiungere alcuni brani scelti personalmente, senza pretesa alcuna di voler rappresentare esaustivamente tutta la sua – vastissima e variegatissima – parabola musicale.







Infine, Schott torna al ricordo della vita e della passione del compositore, che egli stesso ha raccontato in “Canti di viaggio. Una vita”, uscito nel 2005 per Il saggiatore.

Nel 1976 Henze fonrò il Cantiere d’Arte di Montepulciano, e nel 1988 la Münchener Biennale, restando direttore artistico di entrambi fino al 1994. Con queste e altre iniziative Henze ha trasmesso la sua immensa esperienza ai giovani compositori, insegnanti, musicisti e semplici appassionati, “perché comporre è un mestiere, e ogni mestiere si nutre di esperienza”.

Con l’irremovibile coraggio delle sue convinzioni, ma anche con la sua gioia di vivere, il suo amore del bello e della natura, lo spirito inarrestabile di Henze ci rivela un uomo che non ha mai perso l’orizzonte delle sue aspirazioni artistiche, a dispetto di molte sofferenze personali e delle ferite della storia. Per lui, comporre era un impegno etico e una via di espressione personale. Aveva il bisogno di scrivere, con implacabile auto-disciplina, e ciò costituì l’ancora a cui aggrapparsi per trovare scampo nei momenti più oscuri. Henze disse che la musica “è l’opposto del peccato – è la redenzione, la Terra promessa.”

Noi, suoi editori, abbiamo avuto il privilegio di accompagnarlo su questa terra per quasi sessant’anni. È con profonda tristezza, ma con immensa gratitudine per la sua vita, che prendiamo commiato, oggi, da Hans Werner Henze.

Il cazziatone di Luigi Nono

19 ottobre 2012 by

Ho trovato su youtube un video clamoroso, che dice moltissimo sull’arte del Novecento, o almeno sull’arte fondata sull’ideologia (mi vengono i brividi solo a scriverlo).

C’è questo compositore grandissimo, Luigi Nono, comunista fino al midollo, ma ironicamente nato con un nome da monarca. Suona la sua musica per la massa, per i compagni comunisti, che gliela fischiano, perché non la capiscono, anzi: non vogliono capirla. Per loro l’arte è un mezzo di propaganda, e lo è anche per Nono, solo che lui ne fa un’avanguardia, piuttosto che un mezzo popolare in senso stretto. C’è una contraddizione di fondo probabilmente irrisolvibile, ma lui se ne disinteressa, e prova a coinvolgere la massa nell’avanguardia. E la massa gliela fischia, l’arte. Poi succede quel che succede: lui cazzia la massa, e la massa applaude, risvegliata da un linguaggio comprensibile fatto delle quattro solite idee: il marxismo, il comunismo, il socialismo, il popolo, la classe operaia, e soprattutto l’imbarazzante “cultura comunista”, come se la cultura avesse segni distintivi. La massa applaude, adesso Nono ha ragione. Non ha ragione per la sua musica, ma per quello che dice, ovvero per un mucchio di esagerate banalità che oggi, per fortuna, ci sembrano vecchie e un po’ imbarazzanti, anche se all’epoca, per un intellettuale figlio del suo tempo, dovevano rappresentare tutt’altra cosa. La contraddizione di fondo dell’educare la massa a suon di slogan-ideologici gli sfugge completamente, anche se si lascia scappare quel bellissimo e illuminante “Dobbiamo usare tutti i mezzi, non solo le chitarre”, come a dire: “Basta con ‘sto Guccini! Io dico le stesse cose con un linguaggio più alto, che fra duecento anni verrà ricordato, senza ricorrere a banalità varie, e voi ascoltate quello lì!”. Ecco, proprio in quella frase lui si mette su un piano più alto che è puramente aristocratico, e distrugge tutto il suo castello di idee: educare la massa è intrinsecamente contraddittorio, perché una massa educata non è più una massa ideologicamente plasmata, è un insieme di individui in grado di ragionare. Per fortuna, al contrario di altra musica, quella di Nono, privata del suo messaggio superficiale (quello ideologico e politico, non quello sociale), resta arte pura e assoluta, ed è per questo che verrà ricordato in futuro. Tutto questo sproloquio, comunque, lo riassume molto meglio di me il primo commento sotto il video, che mi sembra strepitoso, un po’ il 42 (“la risposta alla domanda fondamentale“) dell’arte del Novecento, e non solo:

Bellissimo e raro documento, ma è un documento di sconfitta.
Se la parola è arrivata dove la musica non è arrivata, se le orecchie hanno accolto il facile anziché il difficile, si sono accontentate.
E guai, guai a chi si accontenta del poco avendo davanti a sé il molto.
Nono è morto lì, crocefisso dagli applausi quando erano i fischi a dirgli che aveva ragione.

Stupendo.

Ecco, vi lascio con qualche ascolto dei capolavori di Luigi Nono:



Claudio Abbado inaugura il nuovo Auditorium di Renzo Piano all’Aquila

8 ottobre 2012 by

Ieri è stato inaugurato il nuovo auditorium voluto da Claudio Abbado e Renzo Piano. Ho avuto il privilegio di poter assistere alle prove e alla prova generale di domenica mattina. Ho pensato allora di scrivere un racconto della storia di questo nuovo auditorium, e della musica che ho ascoltato in questi due giorni.

Lo trovate sul Corriere musicale:
http://www.ilcorrieremusicale.it/laquila-battesimo-per-lauditorium-del-parco-del-castello/

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Magari un giorno, qui tra noi, vi racconto anche la breve chiacchierata di ringraziamento che ho avuto con Claudio 🙂

Buona lettura!