Archive for giugno 2009

La Quarta di Mahler nell’arrangiamento di Erwin Stein

26 giugno 2009

Mahler 4 para cuerdas Santa fELa quarta sinfonia è forse la mia preferita tra le nove (più una decima incompiuta) scritte da Gustav Mahler. E’ molto diversa dalle altre: più breve, più leggera, più dolce. Quasi una sinfonia femminile, oserei dire. Molte sono le incisioni di questa sinfonia che potrebbero essere consigliate, molti sono i motivi di interesse nell’ascolto di questi sessanta minuti di musica. Uno su tutti è sicuramente il meraviglioso terzo tempo (Ruhevoll), uno degli adagi più belli che io conosca. Non tutti sanno, comunque, che Erwin Stein, allievo ed amico di Arnold Schoenberg, lavorò nel 1921 ad un arrangiamento di questa sinfonia per un organico ristretto e particolare: soprano, flauto, oboe, corno inglese,
clarinetto, due violini, viola, violoncello, contrabasso, pianoforte, harmonium e percussioni. Personalmente trovo questo arrangiamento davvero molto interessante; nell’ascolto è possibile percepire linee melodiche altrimenti un po’ meno chiare e si ha un’impressione di sottigliezza e snellezza sicuramente estranee a Mahler, ma secondo me ben concilianti con la natura di questa quarta sinfonia.
L’ascolto che vi propongo è quello che a mia volta ho raccolto da un blog straniero (mi pare spagnolo), che ha reso disponibile l’incisione degli Smithsonian Chamber Players (con la Santa Fe Pro Música) diretti da Kenneth Slowik. Un disco davvero bellissimo e suonato molto bene.

Trovate tutto qui:
http://todomahler.blogspot.com/2008/11/mahler-sinfona-no4-y-lieder-eines.html

Vi auguro un buon ascolto.

Ferenc Fricsay dirige il Mozart sinfonico

18 giugno 2009
Ferenc Fricsay dirige

Ferenc Fricsay dirige

Ferenc Fricsay (1914-1963) è stato uno dei più grandi direttori d’orchestra dello scorso secolo. Purtroppo una grave malattia ci ha privato della sua arte ad inzio anni sessanta, quando prendevano piede le prime tecniche di incisione stereofoniche, che hanno letteralmente rivoluzionato il mondo della Musica. Ci restano tuttavia alcuni eccellenti documenti della sua straordinaria capacità di drigere l’orchestra e delle sue grandi idee musicali. La più famosa incisione di Fricsay è probabilmente la Nona sinfonia di Beethoven incisa nel 1958, la prima incisione stereofonica della Deutsche Grammophone. Notissima è anche la registrazione (in video) delle prove di Fricsay alle prese con La Moldava di Smetana, poco prima della morte. E’ un filmato davvero toccante ed illuminante riguardo alle capacità del direttore ungherese. Le due esecuzioni citate sono davvero strepitose, da molti ritenute tra le più grandi mai registrate. Altre grandi incisioni di Fricsay hanno fatto la storia, basti pensare ad esempio al mozartiano Flauto Magico. Meno note, invece, sono le incisioni che oggi vi segnalo. Si tratta di registrazioni effettuate tra il 1952 e il 1960. Dunque alcune di esse sono mono, un mono niente più che discreto, ma altre sono in stereo, un buon stereo. Si tratta di registrazioni di parte del repertorio sinfonico ed orchestrale di Mozart, nello specifico figurano il meraviglioso Adagio e Fuga in Do minore K546, la Maurerische Trauermusik K477, la Serenata n.13 in Sol maggiore K545 (nota come ‘Una piccola serenata notturna‘, in tedesco ‘Eine kleine Nachtmusik‘) e poi le Sinfonie nn.29-35-39-40-41, vale a dire forse le più belle (mancano giusto la Praga e la Linz, forse, ma non è ora il caso di mettersi a dare giudizi del tutto personali). Parte delle registrazioni furono pensate dalla Deutsche Grammophon come compendio orchestrale mozartiano per l’anniversario della nascita del compositore, nel 1956. Fricsay era all’epoca il numero uno tra i direttori della casa discografica tedesca e forse era proprio il numero uno in assoluto, dopo la morte di Furtwaengler. Le altre registrazioni furono successive, e per fortuna ci consentono di ascoltare l’arte di Fricsay in una qualità sonora migliore (nonché non traspaia la grandezza della Jupiter del 1953!).
Lo dico subito, e senza indugi, per me queste sono tra le più grandi interpretazioni del Mozart sinfonico che abbia avuto il piacere di ascoltare. Queste letture sono tipiche letture di metà Novecento, si respira un Mozart romantico e suonato da grande orchestra, molto lontano dal Mozart di oggi. Non per questo, comunque, queste incisioni sono da penalizzare. Mi ripeto, le letture sono molto personali, ma sono fin troppo curate, eleganti e ben suonate per non essere apprezzabili anche da chi ha un’idea diversa di Mozart. Credetemi, ascoltatele, e non ve ne pentirete. Nello specifico, non entro in paragoni con le mie altre incisioni preferite perché si tratta di Mozart diversi che difficilmente possono essere accostati in un paragone. Il Mozart di Bernstein è forse più vicino a questo del mio altro preferito Mozart di Abbado (ben più recente), ma non voglio comunque fare paragoni impropri, voglo semplicemente lasciarvi all’ascolto di questa sublime musica.

Entro nello specifico delle registrazioni:

Sinfonia n.35 in Re maggiore ‘Haffner’ – RIAS-Symphonie-Orchester Berlin, 1952
Sinfonia n.41 in Do maggiore ‘Jupiter’ – RIAS-Symphonie-Orchester Berlin, 1953
Sinfonia n.29 in La maggiore – RIAS-Symphonie-Orchester Berlin, 1955
Fin qui le registrazioni sono MONO, dunque non certo rimarchevoli per qualità sonora, ma neanche male, direi.

Serenata n.13 in Sol maggiore K525 – Berliner Philharmoniker, 1958
Sinfonia n.39 in Mib maggiore – Wiener Symphoniker, 1959
Sinfonia n.40 in Sol minore – Wiener Symphoniker, 1959
Adagio e Fuga in Do minore K546 – Radio-Symphonie-Orchester Berlin, 1960
Maurerische Trauermusik K477 – Radio-Symphonie-Orchester Berlin, 1960
Queste sono registrazoni STEREO, di buona qualità.

Tutte le registrazioni sono libere da copyright.

Ecco i link ai file:
http://www.megaupload.com/?d=PLX47P0X

Buon ascolto!

mi farebbe molto piacere leggere i vostri commenti.

Claudio Abbado dirige l’Orchestra Mozart all’Aquila

16 giugno 2009
Claudio Abbado riceve l'applauso del pubblico aquilano

Claudio Abbado riceve l'applauso del pubblico aquilano - Foto di FABIO VACCA http://www.flickr.com/photos/fabiovacca/

Il concerto del 13 giugno è stato davvero indimenticabile. Troppi erano i motivi di interesse e di emozione, a partire dal “semplice” ascoltare il più grande direttore d’orchestra al mondo alla guida di una giovane ed eccezionale orchestra, per fìnire nella commozione dovuta alla situazione che ha reso possibile il concerto stesso.
Il Maestro Abbado, visibilmente stremato prima dal lungo viaggio e successivamente dal concerto (senza intervallo per agevolare il ritorno sulla costa alle persone sfollate dall’Aquila), è sembrato davvero commosso e volenteroso di fare qualcosa per L’Aquila, città che ha detto di aver visitato anche in passato nella sua lunga carriera. L’Auditorium della Scuola per ufficiali della Guardia di Finanza, pur non offrendo un’acustica eccezionale, ha saputo offrire una grande accoglienza all’Orchestra Mozart e al Maestro. Il numeroso pubblico (circa 1000 persone) ha partecipato con emozione al concerto, destinando agli artisti numerose standing-ovation, prima e dopo l’esecuzione dei due capolavori sinfonici in programma.
I lavori scelti dal Maestro per l’occasione sono la Sinfonia n.4 di Schubert, detta (a sproposito) La Tragica, e la celeberrima Sinfonia n.40 di Mozart. In Schubert l’idea di Abbado è sembrata non dissimile da quella che si può ascoltare nel disco che anni fa incise (se non ricordo male con la Chamber Orchestra of Europe) per la Deutsche Grammophon: si percepisce una grande eleganza, soprattutto nei fiati, grande compostezza e la giusta dose di brio nel travolgente finale. La sinfonia n.40, invece, è piuttosto diversa dalla vecchia incisione di Abbado, e rivela una certa evoluzione nell’esecuzione mozartiana del direttore milanese, soprattutto rispetto alle abitudini della tradizione. I tempi sono veloci, soprattutto nel secondo movimento, come pure era stato per la recente incisione discografica di alcune sinfonie mozartiane con la stessa Orchestra Mozart (non vi era questa in sol minore, tuttavia). Questo Mozart è elegante e a tratti doloroso, soprattutto nel primo movimento così abusato ma così magnifico. Nel quarto, stupendo ed innovativo tempo, Abbado imprime una scelta direttoriale marcata e maestosa, quasi severa, che però nulla toglie alla scorrevolezza tipica di Mozart.
L’Orchestra Mozart, davvero eccezionale, è parsa un’arma affilata per il direttore: gli archi sono precisi e decisi, i fiati sono francamente strepitosi. Difficile pensare a qualcosa di meglio senza andare a scomodare i grandi nomi.

Un concerto memorabile e, non solo per questo, indimenticabile.

Hans Zender e la pietrificazione emotiva di Morton Feldman

10 giugno 2009

Hans Zender dirige musiche di Morton Feldman, CPO

Hans Zender dirige musiche di Morton Feldman, CPO


Sovente le ferree leggi discografiche finiscono per emarginare artisti dotatissimi, ma spesso svantaggiati per aver scelto una carriera relativamente lontana dalle luci della ribalta. Hans Zender probabilmente fa parte di questo considerevole gruppo. Nato nel 1936, allievo in composizione di Karlheinz Stockhausen, il maestro di Wiesbaden ha passato la sua vita a dirigere orchestre tedesche e teatri tedeschi non sempre di primissimo piano: Bonn, Kiel, Friburgo, Amburgo, la parentesi con la Radio Olandese. E soprattutto, l’orchestra della Radio di Saarbrücken, e quella della SWR di Baden-Baden.
C’è davvero di che rimanere sconcertati a paragonare la Saarländischer Rundfunk, una stazione radiofonica che serve uno dei più piccoli länder tedeschi, la Saarland, col carrozzone della nostra Rai del tempo che fu. La SR (la chiameremo così d’ora in poi) ha da sempre un’orchestra di grande qualità, sicuramente superiore alle pur oneste formazioni similari italiane. Sfruculiando nel loro vasto archivio, i draghi discografici della CPO, l’etichetta di nicchia forse più interessante in commercio, ha racimolato un sacco di produzioni tutte accomunate dalla presenza di Hans Zender sul podio. Il risultato è stata una poderosa Zender Edition con le perle del maestro. Un’edizione che ora, a undici anni dalla sua uscita, è purtroppo fuori catalogo: dei 17 dischi originali (un repertorio che andava dalle ultime sinfonie di Mozart alle musiche di Bernd Alois Zimmerman, passando per Schumann, Debussy, Mahler) ne sono tuttora in vendita quattro.
Dei quattro, è interessante il doppio cd dedicato a musiche di Morton Feldman (1926-1987), il compositore americano considerato il più autorevole legatario di John Cage. Una scelta che non deve stupire: nello Zender direttore d’orchestra convissero sempre l’amore per il romanticismo tedesco e la passione per le nuove musiche, spesso tenute a battesimo da lui medesimo.
E’ il caso dei quattro “… and orchestra”, le composizioni per solista e orchestra che Feldman scrisse negli anni ’70. Il primo che troviamo, Flute and orchestra, è cronologicamente l’ultimo della serie, ma l’esecuzione che troviamo qui è quella della prima assoluta, nel 1978. A suonare, la flautista Roswita Staege. La gente, ormai, conosceva lo stile compositivo di queste musiche di Feldman: lunghe durate, nessun virtuosismo strumentale del solista (che peraltro monopolizza le parti melodiche), accompagnamento orchestrale discreto e, soprattutto, assoluta predilezione di sonorità attutite, piani, pianissimi. E’ musica che cristallizza qualunque forma di sentimento in un biancore algido, soffuso, vagamente malato. Sembra un’atarassia musicale. L’orchestra procede con cluster prolungati, impasti di luce quasi da laboratorio o da sala operatoria, senza scoppi passionali di nessun genere. Una specie di rappresentazione del deserto delle passioni.
Siegfried Palm

Siegfried Palm


Il clima degli altri brani, composti nel quinquennio precedente e registrati nella sala della Radio, non è diverso. Cello and orchestra, del 1972, si avvale dell’apporto del cellista “contemporaneista” Siegfried Palm, un solista di bravura rimarchevole in questo tipo di musica, e d’una umiltà a dir poco straordinaria, visto l’impegno richiesto da pezzi come questo, ben poco gratificanti dal punto di vista virtuosistico. Rimangono Oboe and orchestra (1976) e Piano and orchestra (1975). Il primo sfodera un organico orchestrale decisamente grande (quattro legni, tre corni, tre tromboni, tre trombe, tuba, percussioni in varietà, arpa, piano, celesta, archi), ma piegato a una serie inusitata di sfumature e pianissimi. L’oboe (qui suonato da Armin Aussem) sciorina assoli di maggior immedesimazione emotiva, rispetto a quelli delle altre composizioni, arrivando a intonare veri lamenti. Il secondo vede invece il regresso del virtuosismo pianistico a componente elementare, oserei dire ludica: figurazioni accordali ripetute e poco altro. Rieccoci dunque nel clima pietrificato di prima. Notare che le composizioni sono tutt’altro che brevi (da 18 a 33 minuti), ma non sono nient’affatto noiose.
Zender esce da questa sfida a testa veramente alta. Con lui, l’orchestra della SR giunge a sfumature davvero impensabili, una sorta di sinfonia della sfumatura e della luce di taglio, che illumina l’atmosfera stralunata (anzi, oserei dire brechtianamente straniata) di queste composizioni. La qualità delle incisioni stereo paga un piccolo debito con gli hiss, ma è godibile e piena (altro che Rai).
Ciliegina sulla torta: vista la breve durata dei due dischi, la CPO ha deciso di farli pagare come fossero uno solo. E’ oltremodo conveniente acquistarli da jpc, il dealer tedesco che della CPO fa parte. Vengon via per poco, ma l’interesse all’ascolto è davvero cospicuo.

Il clarinetto: il suadente in musica

6 giugno 2009

ClarinettoOgni tanto mi capita di mettermi lì a pensare se ci sia o no uno strumento che preferisco. Certo, gran parte della letteratura solistica è per pianoforte, strumento fantastico e assoluto. Però capita che a volte l’ascolto di altri strumenti mi provochi emozioni diverse, se possibile più forte. E’ il caso del violino, ma ancor di più del pieno, ma dolce suono del violoncello. Il violino e il violoncello, soprattutto in Bach, hanno un suono malinconicamente bellissimo, quasi insostenibile. Però se cerco ancora più a fondo, trovo un altro strumento che mi tocca ancora più in profondità: il clarinetto. A riguardo, mi sono interrogato se non fosse principalmente il clarinetto in Mozart a risultare per me così incredibilmente meraviglioso. E no, non è solo il clarinetto mozartiano che mi scombussola la giornata con la sua bellezza così suadente e conciliante. Certo, è difficile pensare a qualcosa di più indicativo dell’inarrivabile Concerto per clarinetto e orchestra in La maggiore K622, senza dimenticare il forse ancor più bel Quintetto per archi e clarinetto in La maggiore K581. In verità, per quanto ne so, gli originali di questi due capolavori non ci sono pervenuti. Ne abbiamo oggi due probabili trascrizioni adattate al clarinetto ottocentesco, diverso dal clarinetto di bassetto per il quale Mozart pensò le sue due opere, che poteva eseguire note più basse di quelle eseguibili sul moderno strumento. E’ per questo che ultimamente alcuni grandi strumentisti hanno iniziato a registrare i due lavori sul clarinetto di bassetto, correggendo i presumibili cambi postumi nelle trascrizioni mozartiane. Questo comunque non modifica sostanzialmente il fascino dei due capolavori mozartiani. Come ho già detto, la bellezza del clarinetto non traspare però solo nelle opere di Mozart. Ascoltando ad esempio i concerti di Weber, ma anche semplicemente il misurato e dolce utilizzo che Beethoven fa dello strumento in alcune delle sue sinfonie, si ha l’impressione di uno strumento indispensabile: cosa sarebbero il sottovalutato Adagio della quarta sinfonia o l’Allegretto della settima sinfonia senza i dolci richiami del clarinetto? E come non citare il quintetto di Brahms? Niente da fare, moltissimi hanno scritto musica per il clarinetto, soprattutto musica da camera. Tutti i compositori più noti, dal settecento al novecento più pieno. Il fascino del clarinetto si è saputo stendere anche in altri ambiti: c’è traccia di questo strumento anche nel jazz (avete mai sentito parlare di Benny Goodman?), nella musica popolare, e nelle canzoni di Renzo Arbore, con quel quasi blasfemo (ma simpatico e forse sospettabile) doppio senso sessuale. Per informazioni più dettagliate sull’evoluzione storica dello strumento vi rimando, molto semplicemente, a Wikipedia.

Oggi vi invito all’ascolto del primo movimento (Allegro) del Quintetto per archi e clarinetto in La maggiore K581 di Mozart:

Al clarinetto (di bassetto) il grande Antony Pay. Come sempre vi consiglio di visitare direttamente youtube per ascoltare il video in alta qualità, cosa impossibile qui su wordpress. L’indirizzo del video è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=7YgNnpyAa54

Buon ascolto!

Mozart e la morte

4 giugno 2009
Il manoscritto del Requiem di Mozart

Il manoscritto del Requiem di Mozart

Qualche anno prima di lasciarci, Leonard Bernstein diresse una toccante esecuzione dell’incompiuto Requiem di Mozart. L’esecuzione, pubblica ma senza applausi, era dedicata all’anniversario della morte della moglie del direttore. Nel filmato che ne fu tratto, compare, a precedere l’esecuzione, la lettura di Bernstein della celebre “Lettera al padre” di Mozart. Certo, Wolfgang ha scritto molte lettere a suo padre Leopold, ma questa è la più nota, e forse la più bella, poiché lascia trasparire un lato della personalità mozartiana che spesso e volentieri viene coperto dallo stereotipo del Mozart frivolo. Mozart scrisse la lettera sapendo delle gravi condizioni di salute del padre, e il tono pare voler essere quasi consolatorio.

Carissimo papà,

Ricevo in questo momento una notizia che mi abbatte molto – tanto più che stando all’ultima sua lettera potevo supporre che lei, grazie a Dio, fosse in buona salute – ma ora sento che lei è molto malato! Non ho certo bisogno di dirle quanto arda dal desiderio di ricevere da lei stesso una notizia consolante; lo spero veramente – nonostante abbia fatto l’abitudine a immaginarmi il peggio in ogni cosa -.
Dato che la morte, a ben guardare, è la vera meta della nostra vita, già da un paio di anni sono in buoni rapporti con questa vera, ottima amica dell’uomo, così che la sua immagine non solo non ha per me più niente di terribile, ma anzi molto di tranquillizzante e consolante! Ringrazio Dio per avermi concessa la fortuna e l’occasione – lei m i capisce – di riconoscere nella morte la chiave della nostra vera beatitudine.  Non vado mai a dormire senza pensare che – per quanto io sia giovane – il giorno dopo potrei non esserci più, e di tutte le persone che mi conoscono nessuno potrà dire che io abbia un modo di fare imbronciato o triste, e ringrazio tutti i giorni il signore per questa beatitudine, che auguro di cuore a tutti gli uomini. Nella lettera affidata alla Storace le avevo già esposto i miei punti di vista in materia in occasione del triste decesso del mio ottimo, carissimo amico conte von Hatzield – aveva 31 anni, come me – non compiango lui bensì me, profondamente, e anche tutti quelli che lo conoscevano bene come me.
Spero e mi auguro che lei stia già meglio mentre io scrivo questa lettera; se però invece pensa di non migliorare, allora la prego per… di non tenermelo nascosto, ma di scrivere o farmi scrivere la pura verità, così che io possa essere il più presto possibile tra le sue braccia; la scongiuro per tutto quanto ci è sacro. Però spero di ricevere presto da lei una lettera rassicurante, e con questa piacevole speranza insieme a mia moglie e Carl le bacio 1000 volte le mani e sono sempre il suo ubbidientissimo figlio

W. A. Mozart
Vienna, 4 Aprile 1787

Trovo questa lettera davvero molto bella, nonostante alcuni passi di essa siano molto simili (quasi citati) da«Phädon, oder Über die Unsterblichieit der Seele», apparso nel 1767, scritto dal filosofo popolare Moses Mendelssohn (nonno del compositore Felix Mendelssohn).

Nella letteratura mozartiana vi è un’altra lettera che tratta della morte. Anch’essa è molto nota, ma non vi è prova della sua autenticità. La lettera, inviata poco prima della morte del compositore, è indirizzata al librettista Da Ponte.

Aff.mo Signore,

Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l’immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo esso mi prega, mi sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo, perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da tremare. Lo sento a quel che provo, che l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur si bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.

Vienna 7 ottobre 1791

Come si vede, la lettera si riferisce largamente al Requiem, peraltro trattando il tema della morte in maniera molto romanticheggiante, finanche inseguendo la sfida a completare il proprio canto funebre prima della fine, ed è questo quello che per molti avvalera la tesi di non autenticità. Dopo tutto, però, vi si ritrova largamente lo stile librettistico e iperbolico della scrittura in italiano di Mozart, e questo deporrebbe a favore dell’autenticità del brano. Ciò che comunque si può dire a riguardo di questa seconda lettera è che all’apparenza descriva la morte non in maniera consolatoria, come accade nella prima, ma piuttosto come una inevitabile, ma fosca necessità.